Gianfranco Fini: un ossimoro da sciogliere
post pubblicato in
diario, il 18 aprile 2010
Nel 1983 Gianfranco Fini era the prodigy boy dei
parlamentari del Msi-Dn. Giorgio Almirante gli cedette il posto nella
circoscrizione dove risultò primo dei non eletti e l’attuale terza carica dello
Stato fece il suo ingresso alla Camera dei Deputati ad appena 31 anni.
Probabilmente Almirante non arrivò mai ad intuire che il suo giovane delfino
avrebbe imparato a nuotare così bene tanto da condurre il partito, ritenuto per
anni “fuori dell’arco costituzionale”, al governo del Paese. Il trasformismo ha
premiato Fini, ma è difficile far convivere il diavolo e l’acquasanta. Silvio
Berlusconi e Umberto Bossi inseguono cinicamente i loro disegni senza remore di
sorta. Fini, quanto meno per i suoi trascorsi politici, ha sicuramente
acquisito una diversa sensibilità istituzionale. Da parecchi mesi cerca di
distinguersi dal Cavaliere che, proprio ieri, ha ribadito la sua determinazione
nel portare avanti la “guerra santa” contro le intercettazioni della Magistratura.
Si può ipotizzare che il sostegno alle attività legislative imposte dalle
esigenze del premier sia stato fornito obtorto collo dall’ex enfant prodige, illo
tempore apprezzato anche da Teodoro Buontempo. E’ comunque difficile prevedere
l’epilogo del dissidio maturato in questi giorni, ma di certo Fini è ben
conscio delle conseguenze derivanti dalla separazione, non ultimo il possibile
danno da shopping in cui è maestro Silvio da Arcore. Siamo d’altronde persuasi
che nello sgangherato teatrino, in cui recitano da tempo immemorabile vecchi e
nuovi esponenti del Pd, debba calare il sipario. La situazione generale dell’Italia
non è rosea sia a causa della sovranità nazionale sacrificata infine ai diktats
della globalizzazione e sia a causa di un’inarrestabile deriva autoritaria. Il
sistema così come è stato congegnato non ammette l’insediamento di un “salvatore”
che ci aiuti a risollevarsi dal decadimento sociale, morale e materiale in cui
siamo stati trascinati, ma un atto di coraggio di Fini potrebbe almeno porre un
freno al miope secessionismo leghista e alla cupidigia di un qualunque futuro caudillo.
La recente vittoria elettorale della Lega indica la predominanza di un pensiero
geopolitico circoscritto e pertanto inadeguato per cogliere l’importanza di una
comunità più ampia e della necessaria solidarietà nazionale. Stigmatizza il
rifiuto dello Stato come soggetto economico, ne disconosce il ruolo che gli
dovrebbe essere proprio come compensatore di squilibri e supremo garante della
convivenza civile. L’edificazione del federalismo, i cui costi complessivi non
sono attualmente calcolabili, renderà ancor più facile la marcia delle
oligarchie transnazionali. Le falangi del Pd, privatizzando e conseguentemente impoverendo
l’Italia, hanno smantellato settori trainanti dell'economia: l’Iri, l’Eni, l’Imi,
l’Italtel, la Telecom,
la Siderurgia,
etc. Ancor prima che Giulio Tremonti potesse affermare come la destatalizzazione
realizzi in sé “un patrimonio di valori privatistici in termini di etica,
struttura di bilancio e di efficienza” (sic), Romano Prodi poteva rivendicare
il record europeo delle privatizzazioni effettuate tra il 1992 ed il 2000. Non
minori responsabilità possono essere imputati al Pd per la progressiva opera di
affossamento del settore Giustizia, per l’insolenza di cui è stata più volte
bersaglio conseguenziale l’intera Magistratura, per le ombre che si sono estese
sul Quirinale e per la vertiginosa ascesa del Berlusconismo. Il Presidente del
Consiglio auspica ancora oggi un’opposizione “responsabile”, ma è proprio
grazie alla consueta “responsabilità” che si è assunto il Pd fin dai giorni
successivi a Tangentopoli che il Paese è in profonda sofferenza ed è nel
contempo assoggettato alla pressione di un unico tacco mediatico. Il totalitarismo, uso a fronteggiare eventuali
ribellioni dovute alla maggiore divaricazione tra gli stili di vita delle élites
stegocratiche, della middle class e degli spiantati di ogni età sembra essere
ovunque in risalita. Barak Obama, ovvero l’illusione di un cambiamento dopo il
saccheggio prodottosi con la bancarotta di diverse società legate al
credito e al mercato immobiliare, è solo
un prodotto confezionato nell’empireo finanziario e bancario statunitense, che
ha ritenuto opportuno allentare la pressione interna sulle masse impoverite e
precarizzate. Lo scacchiere internazionale, l’occupazione mortifera
dell’Afghanistan, le stesse accuse infamanti rivolte ai tre operatori di
Emergency indicano come la voracità predatoria sia il solo astro che guida il capitalismo
senza confini. L’Italia, con i suoi governi, non fa eccezione, anzi si accinge
a fare da corriere per diffondere nel resto dell’eurozona, una specie di tirannide
democratica. Il Trattato di Lisbona, per la cui firma hanno nicchiato pochi politici
europei, e tra questi la dirigenza polacca recentemente eliminata (per qualcuno
forse provvidenzialmente?) da un incidente aereo, è già pregiudizievole per la
sopravvivenza delle Costituzioni nazionali. I desideri berlusconiani, da sempre
sostanzialmente esauditi dalle eminenze grigie del Pd, sono un surplus di cui gli Italiani farebbero
volentieri a meno. Il potere, per non essere messo a fuoco nella sua
orripilante nudità, ha bisogno di canalizzare il dissenso nell’alveo di una
dialettica controllabile e dunque lascia spazio solo a chi lo esterna nei
limiti stabiliti, che siano politici, opinionisti o altro. Non possiamo perciò concedere
un’apertura di credito illimitato a Fini, che non avrebbe mai dovuto lasciarsi
“sdoganare” dall’attuale capo supremo ed è quindi parimenti responsabile per tutto
ciò che stato realizzato fino ad oggi a spese della collettività. La sua ferma,
sia pur tardiva, indisponibilità nel partecipare all’ultimo assalto contro le
Istituzioni repubblicane lo consegnerebbe con minori ombre alla Storia di
questo ormai lercio Stivale. Le usuali proposte “indecenti” di Massimo D’alema
e dei suoi emuli, le note del piffero poco adamantino di Luciano Violante, i
titoli paragiuridici di cui si avvale Andrea Orlando, le purghe somministrate
nelle stanze del supremo Colle per mandare in diarrea la terzietà presidenziale
e gli inconfessabili accordi trasversali edificati sulle spalle dei cittadini continuano
ad incombere sulle nostre teste. Pur guardando con simpatia ai movimenti che si
fanno promotori e latori di speranze attraverso l’impegno civile di molti
giovani, in barba alle incomprensioni che affliggono i rapporti dei loro maturi
mentori, qualche volta affetti dalla “sindrome della prima donna”, non possiamo
prescindere da una visione realistica dell’insieme. Se Fini, senza più
ondeggiare, troverà l’audacia di lanciarsi dal trampolino lo strisciante dispotismo
che sta minando un sistema basato costituzionalmente su pesi e contrappesi non
avrà probabilmente modo di dispiegarsi compiutamente.
Antonio Bertinelli 18/4/2010