Geometria di un soave inganno
post pubblicato in
diario, il 14 gennaio 2010
Ed ecco una nuova sentenza della Corte di
Cassazione che si presta, come altre palesemente stridenti con il sentire
comune, ad alimentare il disorientamento dei cittadini con aderente strumentalizzazione
a discapito dell’intero potere giudiziario. Un uomo è stato penalmente
condannato per aver cercato notizie del proprio figlio attraverso una
telefonata “molesta” fatta all’ex consorte intorno alla mezzanotte. La Corte ha
respinto le argomentazioni del padre preoccupato per non aver potuto incontrare
il bambino così come era previsto dal disposto della separazione coniugale. Ci
appare evidente che la Suprema Corte sia stata chiamata in causa a dismisura,
che la sentenza odori di condizionamento culturale e che gli sforzi legislativi,
sostenuti in primis dal Ministro delle Pari Opportunità, avrebbero potuto
trovare cause degne di maggiore rilievo. Non è un mistero che in alcune aule di
giustizia si celebri la forcolandia dei maschi. Ha finito di stupire
l’esistenza di magistrati bacati. Gli addetti ai lavori sanno che certi
tribunali fallimentari sono diventati uno strumento criminogeno di cui si
avvalgono organizzazioni malavitose di ogni tipo e grandezza. Ci sono
magistrati che impiegano anni per depositare una sentenza. Ci sono magistrati
collusi con la camorra o con strutture analoghe, altri rinviati a giudizio per
associazione a delinquere ed altri già condannati in via definitiva. E’ notorio
che, specialmente in certe città, ci sono toghe che frequentano gli stessi
salotti frequentati da personaggi degni di attenzioni investigative. Ci sono
persino giudici costituzionali che non disdegnano cene di gruppo in luoghi e
con compagnie quanto meno inopportune. Ci sembra inevitabile che l’eccessiva
vicinanza tra giudici e governanti possa condizionare oltre ogni misura
l’indipendenza della Magistratura, a volte già degenerata per altre vie. L’apparato
giudiziario, come del resto altri apparati istituzionali, fornisce uno spaccato
in linea con la decadenza morale del Paese in cui viviamo. Ma se per un verso
si può riscontrare questo legame sofferto tra affari e legalità, dall’altro si
deve prendere atto che, mentre alcuni abbandonano la professione per sfuggire
al generale degrado, tanti altri magistrati continuano a lavorare nell’interesse
del bene comune. Dopo anni di vergogna, con reati aboliti, prove depotenziate,
nullità processuali a pioggia, tempi di prescrizione abbreviati, indulti, norme
blocca-processi, leggi incostituzionali, con
una Giustizia che si mostra incapace di far pagare il conto perfino ai
condannati con sentenze definitive per illeciti che hanno fatto epoca, come si
può parlare di riforme senza ingenerare sospetti nei cittadini? Come ebbe a
dire Gherardo Colombo, la Giustizia non può funzionare senza che esista prima una
condivisione del fatto che debba funzionare. La Politica, sia quella del PDL
che quella del PD, ha fatto e fa di tutto affinché questo non si realizzi. Le
martellanti elegie di questi ultimi giorni, dedicate a Bettino Craxi per rivedere la
toponomastica milanese, e così dedicargli una via o magari una piazza, inquadrano
perfettamente il clima da paese di Alì Babà. Nessuno intende negare che al
presunto “statista” è andata peggio di quanto sia andata ad altri, ma questa è
un’altra storia. E’ prevalente responsabilità del legislatore se l’Amministrazione
Giudiziaria versa in una crisi senza precedenti storici. A prescindere dalle
indegnità personali di certi magistrati che andrebbero prontamente e definitivamente
estromessi dal servizio attivo, il problema gravissimo è che viene fatta
mancare la legittimazione politica all’intera Magistratura o ancor peggio che
la sua stessa organizzazione viene minata alle fondamenta da una serie di
attacchi violenti da parte di chi mal sopporta le sue attività istituzionali, peraltro
doverose. Leggiadri portavoci, frasi ad effetto, aggettivi accattivanti e soavi
definizioni sono la regola per catturare quel consenso popolare che altrimenti
sarebbe impossibile da ottenere ad uso e consumo di chi perpetra reati
corrompendo il tessuto dei nostri rapporti sociali, dell'economia e del lavoro.
Bisogna intaccare ulteriormente l’ordinamento giudiziario, ultimo paletto da
abbattere al fine di garantire l’impunità totale del “white collar crime”. Conosciamo
gli esiti degli indulti che, chiamando in causa la sovrappopolazione carceraria
e la disumanità della pena, sono nati soprattutto per tutelare la casta
legiferante. Il “giusto processo”, per cui a suo tempo il Pd fece da staffetta,
è solo una pastoia che, nel limitare le valenze testimoniali, di fatto lega le
mani dei giudici. Il processo breve è un amnistia camuffata che cancellerà le
colpe di alcuni danneggiando, pure ad libertatem, le vittime di innumerevoli
illeciti penali. Il legittimo impedimento afferma tacitamente come gli stakanovisti,
che passano notti quasi insonni a lavorare, sono talmente impegnati ad operare
per il bene del Paese da non poter presenziare ai dibattimenti che li vedono
imputati. In realtà le disfunzioni giudiziarie che ledono i diritti del cittadino,
alla cui volontà si attribuisce solo quello che fa comodo al padrone, sono ben
altre. La Giustizia dispone di personale, spazi e strumenti da sultanato dei
datteri. Da anni e da ogni singolo tribunale si leva la protesta per le
croniche carenze d’organico. Si ritiene che i magistrati requirenti dovrebbero
essere 2000, ma ci sono 207 posti scoperti. In
ambito giudicante mancano 386 unità. Solo guardando alla situazione di Cassano
d’Adda, sezione distaccata del tribunale di Milano, si rileva che l’assenza dei
cancellieri sta bloccando la registrazione di 450 sentenze civili e 520 decreti
ingiuntivi già definiti. Perché non viene detto agli Italiani che la
“costituzionalizzazione” delle prerogative di alcune cariche politiche
introduce nel merito una serie di distorsioni che avvantaggiano anche alcune
grandi aziende sotto processo a Napoli e a Milano? Se mai ce ne fosse bisogno,
ribadiamo ancora una volta che non siamo proclivi ai magistrati militanti e a
quelli che rinnegano e/o sporcano la toga, ma la Magistratura, nel suo
complesso, va rispettata per il ruolo che le assegna il dettato costituzionale.
C’è chi sta parlando di un progetto finalizzato a mettere in ginocchio la
Giustizia. Per quanto ci consta, allo stato dei fatti, sarebbe più appropriato
parlare di vilipendio di cadavere. Come se non bastasse quanto il Paese paghi già
un prezzo altissimo alle brame secessionistiche e xenofobe della Lega, ci si
deve misurare anche con l’avatar di un’improbabile opposizione parlamentare.
Sarà consolante sapere che le infamie di cui sono contrassegnati i nostri tempi
non potranno essere prescritte ope legis?
Antonio Bertinelli 14/1/2010