Plata o plomo
post pubblicato in
diario, il 24 gennaio 2010
Il 29/4/2008 è iniziata la XVI legislatura
della Repubblica. Con il D L n. 112 del 25/6/2008 è stato soppresso l’Alto
Commissario per la prevenzione ed il contrasto della corruzione e delle altre
forme di illecito nella Pubblica Amministrazione. L’istituto, già operante sotto
gli auspici della Convenzione delle Nazioni Unite, è così finito sotto la
mannaia della politica italiana come “ente inutile”. Oggi la Polizia deve
confrontarsi con una serie di inadeguatezze operative. Il mese scorso a
Milano mancavano seicento agenti, rimanevano inoltre ferme
duecentocinquantasette auto perché non c’erano i soldi per le riparazioni. A
Palermo erano in panne centoquaranta macchine così da dover dimezzare quelle in
servizio sul territorio. Su base nazionale les cahiers de doleances che
riguardano le Forze dell’Ordine sono corposi. La Magistratura invece deve
vedersela con un codice di procedura penale che è un percorso ad ostacoli, con
una serie di leggi pro reo, con i vuoti di organico (anche amministrativo), con
le norme attualmente in itinere parlamentare e con attacchi di vario genere provenienti da ogni
dove. Quando El Patròn colombiano diveniva uno degli uomini più ricchi del
mondo trafficando cocaina, l’Italia, malgrado il malaffare diffuso, era ancora
un Paese dove per il cittadino aveva senso parlare di legalità. Basti pensare alle
note vicende che, partite dal Pio Albergo Trivulzio di Milano e successivamente
allargate a tutto il territorio nazionale, suscitarono una tale indignazione
da indurre il legislatore a sopprimere l’immunità parlamentare. Mentre Pablo
Emilio Escobar corrompeva un numero incalcolabile di ufficiali governativi,
giudici e politici, mentre uccideva personalmente i gregari con cui entrava in
disaccordo, mentre praticava la strategia del “plata o plomo” (soldi o piombo)
noi non avevamo politici affetti da velleità dispotiche, non avevamo ancora il
“giusto processo” con una pleiade di eccezioni procedurali, avevamo dei giudici
che depositavano annualmente il doppio delle sentenze che riescono a depositare
oggi ed i mafiosi sotto indagine potevano ben dire: calati iuncu ca passa la
china. Oggi sulla strada dei cambiamenti voluti (?) dagli Italiani vediamo
lanciare pietre contro l’intero Ordine Giudiziario. R. Brunetta dice che i
magistrati aggirano la Costituzione, le mafie rialzano il tiro mettendo bombe, il Premier, con la sua ultima
esternazione, afferma che non va in tribunale per evitare i “plotoni di
esecuzione” mentre G. Napolitano
invita tutti alla sua visione di concordia. Se ci è concesso, vogliamo sottolineare che non fu
opportuno mettere sul piano di semplici baruffe personali lo scontro tra la Procura
di Salerno e quella di Catanzaro. Non fu esemplare rispondere: ”Ma dove sono
i profili di ... me la
rimandano dopo quindici giorni e debbo firmare per forza”. Date le
circostanze, non fu felice neanche la seguente rampogna: “(...) Quanti
appartengono alla istituzione preposta all'esercizio della giurisdizione, si
attengano rigorosamente allo svolgimento di tale funzione (...)”. Pur con tutti
i distinguo, nonostante i legacci normativi che continuano a renderne arduo il
compito, non è forse la parte sana della Magistratura che fa da ultimo e
fragile baluardo alla degenerazione della politica e degli affari di cui questa
si fa protagonista e garante? Ci guardiamo bene dal difendere aprioristicamente i fannulloni,
gli invidiosi, gli incapaci, gli psicotici, i giudici militanti o i
protagonismi di qualche PM. Nell’invocare questo o quello, i rilanci per demolire
lo Stato di Diritto non sembrano avere fine. La proposta di legge di J.
Santelli prevede addirittura una serie di trappole disciplinari tali da
scoraggiare qualunque magistrato abbia voglia di scavare oltre il “consentito”.
Qui ormai è in gioco il futuro del Potere Giudiziario quale garanzia di checks
and balances. Diamo ai “Metta” quello che è dei “Metta”, attiviamoci per ridare
dignità e mezzi idonei a chi è spesso costretto a fare una vita blindata o ad
indossare calzini d’ordinanza brachiniana. Se fossimo chiamati ad operare
nell’interesse generale al di sopra delle parti, e ne avessimo i requisiti, diventeremmo
sospettosi nel ricevere inaspettati e ripetuti complimenti da una di quelle in
causa. Se poi gli elogi arrivassero da chi è avvezzo a cambiare con facilità
padrone ne deriverebbero maggiori diffidenze. Alterius non sit qui suus esse
potest.
Antonio Bertinelli 24/1/2010