Gianfranco Fini: sinapsi politica o estremo sussulto?
post pubblicato in
diario, il 24 aprile 2010
Numerosi Italiani sono ancora in attesa
che i proclami lanciati con il “Discorso della Calza” del 26 gennaio 1994 si
tramutino in fatti con ricadute positive sull’intero Paese. Gli industriali abbandonano
la produzione in loco e vanno in cerca di siti stranieri dove poter aumentare
gli utili. Imprenditori in crisi e lavoratori senza reddito si suicidano, mafie
e politica continuano ad andare a braccetto, le uniche liberalizzazioni
realizzate sono state quelle finte e quelle a danno del cittadino, il
patrimonio statale è stato dissipato. Se la situazione socio-economica della
Grecia è altamente suscettibile di un prossimo default, le nostre prospettive
di un’adeguata crescita del Pil, contrariamente ad altri Stati europei, restano
un miraggio e, nella patria del lotto, non esiste jackpot che metta in palio una
qualche certezza per l’avvenire. Mentre l’avvento del messia non ha evitato che
si concretizzassero i peggiori pronostici, la categoria degli “eletti” ha continuato
ad operare in maniera autopoietica, sempre più spinta da auri sacra fames. Da oltre un quindicennio è
scomparsa dalla politica attiva la destra storica e il Pd si è proposto come il
migliore alleato del Berlusconismo, cresciuto in latitanza di apparati
istituzionali capaci di “dar senso” all'azione sociale. In questi giorni
Pierluigi Bersani ha stigmatizzato la mancanza di serenità che affligge il Pdl
e che, a suo dire, preclude ogni possibilità di dialogo. Gli esponenti del suo partito,
in preda ad una malcelata foia da astinenza partecipativa, continuano a dichiararsi
pronti per contribuire alle “riforme”, quelle che secondo i vari gaspacapebonazzoni
“vogliono gli Italiani”. In antitesi alla calma piatta che regna nel Pd, foriera
di inciuci alla D’Alema & Co, ci sembra che l’unico evento degno di nota
sia la breccia aperta da Gianfranco Fini. Pur sottolineando che l’attuale
Presidente di Montecitorio, appiattendosi per anni sui desiderata di Silvio Berlusconi,
ha lasciato senza riferimenti l’elettorato che si identificava in An, non si può
disconoscere che il suo ultimo “distinguo” pubblico è stato simile ad una
folata di vento inaspettata, una riflessione per guardare alla politica non più
come mera amministrazione dell'esistente e strumento principe per raggiungere
ambiti traguardi personali. E’ vero che per anni Fini ha lasciato incolti persino
quei campi che avrebbe potuto irrigare approfittando della cecità e della
grettezza pragmatica dei suoi consociati; è lecito sospettare che a scuotere
Fini sia stata anche la possibilità di collaborare ad un futuro “pateracchio”
con forze diverse da quelle che attualmente dominano tutti i centri di potere
in linea con il Governo, ma è altrettanto vero che la politica non riesce più
ad armonizzare il contingente con la speranza e la memoria storica delle nuove generazioni.
Al netto delle colpe fin qui accumulate e delle scelte che farà domani Fini,
magari ascoltando l’invito di donna Assunta Almirante ("Si riprenda An, il
suo partito è a via della Scrofa, torni alla casa del padre, dove il padrone è
lui, può disporre del suo popolo, che tornerebbe tra le sue braccia"), la
cosa più rilevante constatata a margine dello “strappo” è il danno da shopping che
An ha pagato subendo la smobilitazione di tutte quelle rappresentanze parlamentari convertitesi al
verbo di Arcore. Nel romanzo “I fratelli Karamàzov", F.M. Dostoevskij fa dire al grande
inquisitore che parla con Gesù: “Io so
che tu hai ragione, che sei tu la verità, ma io devo di nuovo condannarti, non
ho altra strada". La frase ben rappresenta una sorta di pulsione
filogenetica che caratterizza il gregarismo, ovvero la predisposizione a conformarsi,
a rinunciare a se stessi per affidarsi ad altri, al capo dalle capacità
indiscusse ed indiscutibili. Il carisma di Berlusconi abbaglia i mediocri, ad
esso si aggiungono poi le motivazioni all’obbedienza derivanti dalle strategie di marketing,
ineguagliabili per la quantità di dossiers da impiegare all’uopo e per la nota
munificenza con cui gratifica i suoi migliori dipendenti. Dunque Fini sta
pagando un conto maggiore di quello che avrebbe dovuto pagare per la sua lunga
desistenza sul fronte della destra non plebiscitaria e per aver diluito l’originalità
di An nella minestra di cui si ciba l’ipnotizzatore mediatico. Il suo seguito
parlamentare è di gran lunga inferiore a quello che si potrebbe riscontrare
oggi nelle urne elettorali. Il disegno personale di Fini è sempre apparso
sostenuto da una strategia di lungo termine e non è facile fare presagi su
quanto accadrà nell’imminente futuro. C’è da sperare che, essendoci in ballo
temi cruciali per la sopravvivenza dello stato di diritto, per la salvaguardia
di quel poco di solidarietà nazionale sopravvissuta, per restituire dignità
internazionale all’Italia, per progettare ex novo l’economia e la finanza, Fini
non continui a dissentire solo a parole. L’ambiguità non sempre paga ed
ulteriori indugi nel far mancare fatti concreti rischierebbero anche la
definitiva erosione della base elettorale aennina.
Antonio Bertinelli 24/4/2010