Il gioco dei quattro cantoni
post pubblicato in
diario, il 21 giugno 2010
Gli ultimi anni del XIX secolo
segnarono il fallimento dei tentativi riformistici per risanare il bilancio
dello Stato, particolarmente caldeggiati dal ministro delle finanze Sidney
Sonnino. Il Parlamento, rifiutando una maggiore equità fiscale da realizzare
attraverso alcune imposte sulle rendite, decise di ricorrere alla tassazione
indiretta gravando così sui consumi di massa, quali sale, alcool, zucchero,
fiammiferi, gas, elettricità, etc. Tali scelte, dopo un insostenibile rincaro
del pane, portarono alla nascita di proteste popolari in Romagna, in Toscana,
nelle Marche, in Puglia e in Lombardia. Nel 1898, in occasione dei
tumulti di Milano, il generale Fiorenzo Bava Beccaris fece prendere a cannonate
la folla provocando una strage. Come segno di riconoscimento per la brillante
operazione il prode ufficiale fu decorato con la Gran Croce dell'Ordine
Militare di Savoia ed ottenne un seggio al Senato. Nel 1900 Gaetano Bresci, per
vendicare i morti milanesi e per lavare l’offesa della decorazione assegnata a
Bava Beccaris, sparò ed uccise il re Umberto I. Per celebrare Bresci, a Carrara
è stato eretto un monumento; a Prato, suo luogo natale, l’anarchico è stato
fatto salire agli onori della toponomastica cittadina. A volte gli eroi erano “creati”
dagli storici, a volte era lo storiografo che correggeva le versioni ufficiali,
a volte era il Popolo che sceglieva i propri campioni. I tempi che corrono sono
avari di eroi e la modificata percezione collettiva scambia per tali quelli che
salgono alla ribalta della Tv. L’orda furiosa che sta travolgendo il mondo del
lavoro predilige i coatti e tende ad illuderli con il miraggio di un
miglioramento che, alla luce dei fatti, non sembra realizzabile. L’Italia sgangherata,
corrotta e graveolente non è più in grado di esprimere figure carismatiche
capaci di opporsi alla vittoria di Thanatos. Il cuore di ferro e le visceri di
bronzo del potere politico-economico-finanziario sostengono la ragnatela
dell’inganno, ovvero le teorie del profitto infinito sia personale che
aziendale. Per la nostra classe dirigente, solidarietà e cooperazione sono
parole vuote di cui empirsi la bocca solo davanti ai microfoni. I media
allineati e coperti del monarca ignorano il darwinismo
sociale in atto, con la demonizzazione di tutte le idee che non rientrano nei
suoi canoni, tacciono sulla sua pretesa di stabilire chi deve vivere e chi deve
morire, non spiegano come esso si intrecci indissolubilmente con il modus
operandi delle iene calate sul terremoto dell’Aquila, con le vicende dell’Omsa,
della Vinyls, della Merloni, dell’Eutelia, di tante altre crude realtà
aziendali, inclusa la stessa Fiat. Le continue mortificazioni dell’impianto
normativo, della stessa Costituzione sono parti integranti di un piano organico
che ha sostenuto degli attacchi senza precedenti contro lo Stato sociale,
contro i dipendenti pubblici, contro la scuola, la quale ha subito un taglio
occupazionale di centotrentamila unità, ed ora sostiene l’amministratore
delegato del gruppo Fiat che impone i suoi dictat a Pomigliano d’Arco. E’
rivelatore quello che scrivono oggi gli operai polacchi prossimi ad essere
abbandonati come inutili bestie da soma: “(…) Per noi non c’è altro da
fare a Tychy che smettere di inginocchiarci e iniziare a combattere. Noi
chiediamo ai nostri colleghi (italiani nda) di resistere e sabotare l’azienda
che ci ha dissanguati per anni e ora ci sputa addosso (...)”. In quel di Pomigliano
non c’è in gioco solo il futuro occupazionale di quindicimila persone, indotto
compreso, ma si sta ipotecando il domani di tutti i lavoratori. Lì, prendendo la
gente per fame, si sta creando il precedente storico per poi avere gioco facile
ovunque. Se è comprensibile che nessuno voglia prendersi la responsabilità di
spingere gli operai della Fiat a rifiutare la minestra è altrettanto
comprensibile che l’esito del prossimo referendum condizionerà inevitabilmente
il destino lavorativo di tutti gli italiani. Lasciamo volentieri ai tribuni
della Confindustria la possibilità di suggerire che è meglio un qualunque
lavoro che la disoccupazione o che è meglio lavorare alla catena di montaggio
invece di rimanere precario a vita. Vorremmo invece ricordare, in particolar
modo ai “compagni” del Pd, che Frederick
Winslow Taylor mise a punto la sua organizzazione scientifica del lavoro nella
seconda metà del XIX secolo e che questa, pur avendo ritrovato lustro, nelle
sue peggiori espressioni, in Cina, non merita di essere ancora esaltata. Ridurre
i movimenti inutili, fare solo quelli necessari e in un tempo esiguo, vivere in
uno spazio geograficamente determinato e dimensionalmente predefinito per tante
ore è, oltre che pericoloso, semplicemente alienante. D’altra parte bisogna
riconoscere che il modello di sviluppo subito in forza di leggi e trattati
internazionali porta a svendere la propria forza lavoro e chi non lo fa è considerato un fallito destinato all’apartheid sociale. Il gioco dei
quattro cantoni è stato già sperimentato con successo nei paesi anglofoni e
l’Italia, tramite i suoi governanti, sta cercando di guadagnare in fretta le
posizioni perdute per collocarsi adeguatamente nel sistema. Così la mano
invisibile del mercato rifinirà l’opera già intrapresa dalle mani sporche che
si sono appropriate totalmente della Res Publica. Non è accidentale che si
parli oggi di modifiche all’art. 41 della Costituzione. Il dettato non è
affatto obsoleto e se lo si vuole modificare è solo perché si vorrebbe erigere
a valore indiscusso non la libertà, del resto già prevista, ma la tracotanza
d’impresa. Per rendere più difficile la possibilità di accedere alla Giustizia,
con la finanziaria 2010, è stato abolito l’esonero dal contributo unificato per
le cause relative a controversie di lavoro o concernenti rapporti di pubblico
impiego, nonché per le liti di previdenza e assistenza obbligatorie. Come è
noto, oltre ai magistrati senza aggettivi ci sono, tra gli altri, anche i
soliti “prudenti” e accade sempre più spesso che qualcuno di questi si appelli
ad un cavillo espositivo per ignorare la palese violazione di un diritto,
dichiarare l’attore soccombente e condannarlo pure alle spese processuali. In
tal modo l’ardito che ha osato chiedere semplicemente il dovuto, così come
stabilito inequivocabilmente dalla legge, impara a non disturbare più il padrone. Parlavamo di
eroi e della loro attuale scarsità ma forse, senza evocare gesta impavide, per
contenere gli effetti di questo capitalismo si potrebbe iniziare a fuggire dal
culto dei suoi feticci e dai ronzii delle sue mosche cocchiere.
Antonio Bertinelli 21/6/2010